E CHIDI TEMPI. Una ricerca di Lisa P. Giurato. IL BACO DA SETA

 

                                                             BACO DA SETA - SìRICU

Quasi tutte le donne allevavano il baco da seta ogni anno. Era un lavoro che permetteva un guadagno in soldi, e per le donne del popolo era una piccola ricchezza che poteva servire per qualche necessità della famiglia.

Per allevare il baco da seta, si preparava l’àndito, a tre, quattro o più piani, quanto lo consentiva l’altezza della stanza. Praticamente era una specie di letto a castello formato da cannizze sostenute da pali. Per salire in cima alle cannizze ci voleva la scala. Di solito si andava in due donne con due scale, una di qua e una di là: toglievano i resti delle foglie del giorno prima, appassiti e sporchi, e spargevano le foglie nuove sulle cannizze da un lato e dall’altro pe’mmu cìvanu u sìricu.

Il sìrico vuole 40 giorni. Si seminava a maggio e si raccoglieva a giugno, perché è il tempo che il gelso ha le foglie grandi, ma tenere. Andando a raccogliere le foglie ogni mattina, si facevano scorpacciate di “mura” (more di gelso).

Prima si preparavano le cannizze. I semi (uova), minutissimi, si tenevano in caldo nt’a na cernigghia cappata cu ‘na pezza i linu vicinu a du focolaru. Qualcuno li metteva nel petto in una pezzuola. Per uscire dall’uovo ci volevano alcuni giorni (3-4-5). Quando uscivano i piccolissimi vermetti, si mettevano nt’i cernigghi, nt’i cernigghiedi con la foglia tagliata fina fina, e dapprincipio si tenevano accanto al fuoco per tenerli al caldo.

Quando mangiavano facevano un rumore prima debole e indistinto, poi man mano che crescevano, sempre più forte: più crescevano e più rumore facevano. Si passavano sulle cannizze quando erano lunghi un paio di centimetri e si mettevano le foglie più grossette rispetto ai primi giorni. Poi non si tagliavano neanche più, ma si sfilavano dalle nervature e si spargevano direttamente sulle cannizze. I bachi dovevano mangiare tre volte al giorno: mattina, mezzogiorno e sera, e si raccoglieva la fronda oggi per domani.

Dopo averli civati la mattina, si andava in campagna a raccogliere l’altra fronda. In campagna c’erano moltissimi gelsi (“u cerzu”, da non confondere con “a cerza”, che è la quercia). Ad esempio, da Mbua fin quasi al faro erano tutti gelsi neri. A Runci pure. La foglia si pagava in soldi dopo aver venduto la seta, e si pagava “a corpo”: un pezzo di terra con tanti gelsi, datemi tanto e via!

Dopo quaranta giorni i bachi erano maturi, lunghi circa 10 centimetri e grossi come un dito. Cominciavano a mangiare meno e volevano salire “al bosco”. Allora si andava alla fiumara a raccogliere i ROSèDI (cisto marino), piante molli e basse basse, con dei fiorellini gialli e che mandavano un buon odore, e si posavano a strato sopra i bachi che giacevano sulle cannizze. I bachi salivano in questo bosco e formavano i bozzoli (COCUDI).

I cocudi, venivano i commercianti che passavano paesi paesi, e se li compravano, e pagavano in soldi. Poi pensavano loro a tirare la seta. Chi se li faceva privato, per conto suo, metteva uno stagnato grande di rame, o una caddàra, su un fuoco di legna. Quando l’acqua bolliva, si metteva dentro una quantità di bòzzoli quanta ne andava. Subito si prendeva lo scopino di SCOPIARA, e si agitava su e giù nella caddàra. Siccome era duro, i fili di seta dei bozzoli si attaccanano allo scopino, e un’altra donna, con un aggeggio chiamato MATASSARO (aspo), raccoglieva i fili e formava una matassa. Il matassaru era di ferro, ed era un bastone lungo una sessantina di centimetri, con una corta traversa da un lato e una dall’altro, in modo da avvolgere il filo a matassa. Non poteva essere di canna, perché si sarebbe rotto. Dopo fatta la matassa, si toglieva dal matassaro, si lavava nell’acqua fresca e si stendeva su una canna ad asciugare. La seta cruda aveva un colore giallo dorato. Poi si poteva tessere. Si poteva tingere, ricamare. Nelle famiglie abbienti le figlie portavano in corredo varie coperte a una e due piazze di seta color porpora o giallo oro. Usava mettere tutte le coperte uguali sui letti, nelle stanze tutte comunicanti, e quando si aprivano le porte tra una stanza e l’altra si vedeva la sfilata dei letti tutti uguali.

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